
Circolo di lettura
Una famiglia americana
di Joyce Carol Oates – Il Saggiatore
Tutti ammirano i Mulvaney, tutti li invidiano. Sono un clan chiassoso e allegro, una famiglia perfetta in cui regna la concordia. La loro fattoria nel Nord dello stato di New York è una casa da fiaba abitata da uno stuolo di cani, gatti, cavalli, mucche, pecore, e sempre piena di amici e parenti. Michael, il padre, ha un’impresa edile ben avviata ed è un conosciuto e rispettato membro del Country Club. Sua moglie Corinne è una donna «nervosamente allegra», visceralmente anticonformista, con una solida fede religiosa, la mente sempre in fermento, la passione per l’antiquariato e la politica. I figli conoscono soltanto valori saldi e fiducia nella vita: Mike junior è un campione di football; Patrick, uno scienziato in erba; il piccolo Judd, l’adorante mascotte dei fratelli maggiori. Poi c’è lei, la dolcissima Marianne. Studentessa modello, sempre attenta agli altri, si affaccia con un po’ di ingenuità ai suoi sedici anni. Nel giorno di San Valentino del 1976, dopo il ballo della scuola, le accade qualcosa di terribile. Un «incidente» innominato e innominabile, che turba la serenità della casa, ammutolisce quel lessico familiare che permetteva ai Mulvaney di capirsi senza fatica, di riconoscersi come parte di un tutto. È un incantesimo malvagio, e in un attimo la famiglia perfetta non esiste più. L’affetto che li lega non riesce più a scorrere; ciascuno combatte la sua lotta in nome della giustizia, della vendetta o del perdono; l’evento drammatico li trasforma e li allontana, come accade soprattutto a Marianne e ai suoi genitori, che non riusciranno a superare il reciproco pregiudizio. Per ritrovarsi, i Mulvaney hanno di fronte una lunga strada, un cammino in cui ognuno, liberato dall’obbligo di incarnare la perfezione, dovrà diventare semplicemente se stesso. Come in tutte le tragedie, arriverà la catarsi, ma nulla sarà più come prima. Joyce Carol Oates, la più importante scrittrice americana vivente, è maestra nell’indagare in profondità la psicologia dei personaggi, i loro conflitti interiori e le loro nevrosi. In Una famiglia americana, con il suo inconfondibile genio narrativo, ci porta dentro il cuore nero della società borghese, tanto affabile quanto spietata nei confronti di chi infrange le sue regole. Una società in cui tutti prima o poi si ritrovano al contempo vittime e carnefici
Joyce Carol Oates
Tra le figure più rilevanti della narrativa americana contemporanea – è stata indicata, tra l’altro, come una dei favoriti per l’assegnazione al Premio Nobel della Letteratura -, è anche una delle più prolifiche.
Nata nello stato di New York nel 1938, è da anni residente a Princeton, presso la cui università ha insegnato scrittura creativa dal 1977 al 2014. Fa parte della prestigiosa American Academy of Arts and Letters.
Nella sua opera narrativa esplora le residue potenzialità del realismo sociale e del genere «neogotico». Dal Giardino delle delizie (A garden of earthly delights, 1966), nel quale mappa di un eden sfigurato dalla violenza, a Quelli (1969), che proietta vite ed esperienze femminili sul fondale apocalittico della Detroit dei conflitti razziali, a Bellefleur (1980), saga di una famiglia potente e maledetta, la Oates ha delineato i temi di una produzione vasta ed eclettica, che sperimenta generi e stili e mette impietosamente in luce, tra l’altro, l’ipocrisia e la violenza della vita borghese, l’oppressione delle famiglie, la grettezza delle piccole comunità, l’oppressione e la mercificazione delle donne.
Tra le sue opere, i romanzi Marya (Marya: a life, 1986), Acqua nera (Black water, 1992), Zombie (1995), Una famiglia americana (We were the Mulwaneys, 1996), racconti (Storie americane, Where are you going, where have you been? Selected stories, 1993, dal quale è stato tratto il film, La prima volta, nel 1985, ) e saggi (Sulla boxe, On boxing, 1987). Con lo pseudonimo di Rosamond Smith si è dedicata alla suspense pubblicando Nemesi (“Nemesis”, 1990) e Occhi di serpente (“Snake eyes”, 1992). Non ha tralasciato nemmeno gli eventi biografici: La figlia dello straniero, suo romanzo del 2007, prende spunto dalle vicende del nonno, mentre dopo la morte del marito ha scritto il memoir Storia di una vedova (Bompiani 2013).
Nei romanzi più recenti ha soprattutto indagato l’evoluzione delle dinamiche familiari che portano a inattese esplosioni di violenza (La ballata di John Reddy Heart, “Broke heart blues”, 1999; Blonde, 2000, su Marilyn Monroe; Un giorno ti porterò laggiù, “I’ll take you there”, 2002; La madre che mi manca, “Missing mom”, 2005; La figlia dello straniero, “The gravedigger’s daughter”, 2007).
Per gli adolescenti ha scritto Bruttona & la lingua lunga (Big mouth and ugly girl, 2002) e Occhi di tempesta (Freaky green eyes, 2003), spietati e taglienti.
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