Il ritorno

autore:  Hisham Matar
editore: Einaudi
prezzo: euro 19,50
Traduttore:
A Nadotti
pagine: 246
data pubblicazione: 2017


Nel 1990 Jaballa Matar, uomo influente e tra i principali oppositori di Gheddafi,  scomparve. Fu rapito al Cairo dai servizi segreti egiziani e consegnato ai libici. Nei sei anni successivi la famiglia ebbe da lui solo tre lettere, trafugate dal carcere libico di Abu Salim. In una scriveva: «A volte passa un intero anno senza che veda il sole o senza che mi facciano uscire da questa cella». Poi, a partire dal 1996, il silenzio.
Come si sopravvive a una scomparsa così crudele, che non concede alcuna certezza sulla vita o la morte della persona amata, nessuna data o luogo a cui fare riferimento?
Magari fossi stato il figlio di un uomo felice, che arriva alla vecchiaia con tutti i suoi beni, […] è scomparso nel nulla,ignoto, e ha lasciato a me pene e dolori…
Sono le parole di Telemaco sul padre Ulisse e che Hismam Matar fa proprie in questo libro, intenso e appassionante in cui batte il cuore di un padre che un figlio vuole ritrovare.  Hisham Matar con forza e delicatezza, ricostruisce la figura pubblica e privata del padre in un racconto che intreccia spietate vibrazioni intime ed analisi storiche lucide e rigorose. Un viaggio che investe come un colpo di cannone tutto quello in cui crediamo – il lavoro, l’amicizia, le ambizioni e ci costringe a non sprecare nulla della bellezza della vita.
Si prova vergogna a non sapere dove sia tuo padre, vergogna a non riuscire a smettere di cercarlo, e vergogna a desiderare di smettere di cercarlo», scrive Matar con la dolorosa sincerità che attraversa tutto questo libro. Ma alla fine, malgrado l’assenza di certezze, una data si impone sulle altre. Il 29 giugno 1996. Il giorno del massacro di Abu Salim (1.270 vittime) È allora, con ogni probabilità, che ha perso la vita Jaballa Matar.
Un viaggio sulla tirannia e sulla guerra, ma anche sui meccanismi a noi nascosti con cui viene costruita, e spesso distorta.
Una narrazione dolorosa, a volte brutale, quasi sempre lirica, tenera e terribile in cui riecheggiano voci forti e silenzi, gioie perdute e ferite mai rimarginate. Un grido al diritto universale alla speranza.