
Pagine: 131
Prezzo: euro 11,00
Una scrittura femminile azzurro pallido
di Franz Werfel – Adelphi
Siamo a Vienna, nel 1936. Un alto funzionario ministeriale, sposato a una bella e ricca dama viennese, apre una mattina una lettera. Sulla busta riconosce una scrittura femminile azzurro pallido. Quella lettera si insinua immediatamente, come una lama, nella sua vita troppo levigata e la disarticola dallinterno. Apparentemente, in poche righe molto formali, la scrivente chiede laiuto del potente funzionario per trasferire in una scuola viennese un giovane tedesco di diciotto anni. Ma, per il destinatario, quelle righe cifrate significano il riaffiorare di un amore di molti anni prima, un amore cancellato con ogni cura. E il giovane ignoto non sarà forse un figlio ignorato? Quella storia, che ora giace nella memoria del brillante funzionario come «una tomba interrata che nessuno riesce più a localizzare», era stata forse il più grande, forse lunico vero amore della sua vita. Ma al tempo stesso era qualcosa che il suo «cuore guasto» aveva dovuto eliminare. La feroce coazione ad adeguare la propria vita alle esigenze della società (e qui si tratta dellalta società viennese, magistralmente accennata con piccoli tocchi), quasi un secondo parto operato da un ostetrico di se stesso, hanno distaccato questuomo lelegante, garbato, impeccabile León da qualsiasi altro elemento della sua esistenza, dalle sue origini incerte e povere come anche da quella passione inaccettabile. Werfel è riuscito qui a creare una coincidenza fra indagine psicologica e analisi sociale che è quasi disturbante per la sua precisione. Di fatto, lamante abbandonata è ebrea e la volontà di cancellarla assume una coloritura livida data dal tempo e dalle circostanze. Questa storia dalla forma perfetta, pubblicata da Werfel in esilio a Buenos Aires, nel 1941, si legge oggi come un amaro gesto di congedo da Vienna e da tutta la civiltà mitteleuropea, quasi una naturale prosecuzione dei racconti dellultimo Schnitzler
Franz Werfel
(Praga 1890 – Beverly Hills, California, 1945) scrittore austriaco. Amico di F. Kafka e di M. Brod, visse soprattutto a Berlino e a Vienna, dove sposò la vedova del compositore G. Mahler. Nel 1938 emigrò dapprima in Francia e quindi negli Stati Uniti. Esordì nel clima dell’astratto umanitarismo espressionista con liriche ispirate all’amore e alla fratellanza universale: L’amico del mondo (Der Weltfreund, 1911). Seguirono: Noi siamo (Wir sind, 1913), Il giorno del giudizio (Der Gerichtstag, 1919), Sonno e risveglio (Schlaf und Erwachen, 1935), Poesie degli anni 1908-45 (Gedichte aus den Jahren 1908-45, postumo, 1946). Accanto a questa produzione poetica va ricordata quella drammaturgica: dai primi tentativi espressionistici, impregnati di mistero – La tentazione (Die Versuchung, 1913), Le Troiane (Die Troerinnen, 1915), da Euripide, L’uomo specchio (Spiegelmensch, 1920) – ai drammi storici, tra cui Juarez e Massimiliano (Juarez und Maximilian, 1924), Paolo fra gli ebrei (Paulus unter den Juden, 1926), Il regno di Dio in Boemia (Das Reich Gottes in Böhmen, 1930). Le prove migliori si trovano però nelle opere narrative, in cui W. sembrò volgersi a una più originale interpretazione della realtà e della storia, accordata a una religiosità tradizionalmente cristiana: Barbara ovvero la devozione (Barbara oder die Frömmigkeit, 1929), descrizione del crollo dei «valori» nel primo dopoguerra; I 40 giorni del Mussa Dagh (Die vierzig Tage des Musa Dagh, 2 voll., 1933), tragico documento sulla persecuzione degli armeni cristiani da parte dei turchi durante la prima guerra mondiale; Il canto di Bernadette (Das Lied von Bernadette, 1941), opera con cui W. intese assolvere il «voto» per essere scampato alla violenza nazista, e in cui conciliava, nel segno della fede cattolica, il conflitto esistente tra l’ebraismo dei suoi avi e le sue aspirazioni cristiane; Il pianeta dei nascituri (Der Stern der Ungeborenen, postumo, 1946), prefigurazione utopica di un’epoca libera da guerre, dal lavoro e dai confini nazionalistici, destinata però a infrangersi di fronte al riaffiorare dell’umana malvagità.