Cena per sei
di Lu Min – Orientalia editore
Cina, seconda metà degli anni ’90. Un quartiere industriale di una città non meglio precisata. Cammini in quella che viene definita “la zona industriale”, un ghetto in cui le fabbriche sono arroccate una sopra l’altra, le strade sono polverose e il tuo olfatto è aggredito dai fumi e dagli odori che escono dalle ciminiere e dai baracchini che vendono cibo di strada, odori tutti diversi ma tutti ugualmente nauseabondi. Mentre ti fai largo tra la folla, ti fermi davanti ad una delle tante case modeste con i tetti in lamiera arruginita in cui vivono gli operai. Con la mano cerchi di rimuovere una patina di polvere e grasso che si è depositata sul vetro. Avvicini il viso alla finestra e intravedi una cucina con un tavolo al centro e attorno al quale sono sedute sei persone: due adulti e quattro ragazzi. Una luce fioca illumina la tavola sulla quale sono disposte le pietanze. Tutto sembra immobile, tutto è avvolto nel silenzio. Gli sguardi sono fissi sul piatto e solo occasionalmente si alzano o si spostano lateralmente per incontrare quello del vicino.
“Gli stomaci al lavoro, il tavolo bisunto, il tintinnio delle bacchette sulle ciotole. Sembrava una scena trasmessa da un vecchio televisore a pochi pollici o I mangiatori di patate di Van Gogh”.
Ti chiedi chi siano quelle persone, cerchi di immaginare le loro storia. Sono una famiglia? Forse, ma dai loro sguardi non sembrerebbe. Magari vorrebbero esserlo ma c’è qualcosa tra di loro che li tiene a distanza, come se ci fosse a separarli un vetro talmente trasparente da non essere percipito dall’occhio dell’osservatore esterno ma solo dai loro di occhi.
“Era una situazione difficile, che non migliorava nonostante lo sforzo comune. Erano tutti tacitamente consapevoli della loro nuda solitudine…”
Indugi ancora qualche minuto davanti a quella finestra e ti immagini la loro storia, provi a fare conoscenza con queste persone. Inizi dalla donna alla tua destra, si chiama Su Qin ed è vedova da qualche anno a causa di un tumore che ha portato via suo marito. Così come è vedovo Bogang, operaio di basso livello in una di tante fabbriche della zona con il vizio del bere. I due si frequentano da un paio d’anni. Lei, ogni mercoledì, dopo cena esce di casa lasciando da soli i suoi due figli e inforca la bicicletta per passare la notte con lui. Prima dell’alba esce dal letto di Bogang, si riveste velocemente e rientra nel suo appartamento prima che i vicini la possano vedere. E’ una relazione fredda, distaccata soprattutto da parte di Su Quin la quale, in realtà, non si è ancora ripresa dalla morte del marito e probabilmente si vergogna un po’ di quella storia con un uomo così diverso.
Davanti a te, di schiena, il tuo sguardo si sofferma sui due figli di Su Qin. Il primo è Bai, il più piccolo di tutti. E’ un bambino sovrappeso con il doppio mento e gli occhi che paiono due fessure. Di tutte le persone che sono sedute a tavola è quella che vorrebbe più di ogni altra che quello strano groviglio di esistenze si trasformasse in una famiglia. Accanto a lui c’è sua sorella Lan, è più grande di qualche anno, è molto bella e soprattutto ha ben chiaro in mente che per poter fuggire dalla “zona” l’unica strada percorribile è quella dello studio. Poi ci sono i figli di Bogang: Chenggong, il primogenito. Il suo nome significa “successo” e, a tutti gli effetti, già dai primi anni di vita sembrava essere un bambino prodigio. “A un anno, era capace di contare, a due sapeva il pi greco a memoria e a tre le poesie Tang e a quattro leggeva i giornali…”. Le aspettative riposte dal padre nel figlio per un salto sociale della famiglia vengono meno nel momento in cui Chenggong non supera l’esame di ammissione all’università e si vede costretto a diventare anche lui operaio . E infine osservi Zjemsjem, la figlia minore di Bogang. Ha sempre la testa tra le nuvole ma cerca, a suo modo, di rendersi utile.
Ora che hai fatto conoscenza con i sei personaggi del romanzo di Lu Min non ti resta che osservarli mentre con le loro fragilità camminano, come acrobati, sulla corda tesa che unisce le ciminiere delle fabbriche della “zona” cercando di intravedere quello squarcio di cielo azzurro che a loro è sempre stato precluso.
Intorno a questi protagonisti ruota la storia raccontata da Lu Min, scrittrice cinese pluripremiata che arriva in Italia nella traduzione di Natalia F. Riva grazie a Orientalia. Una storia familiare ambientata in un contesto particolare come quello di un distretto industriale cinese che vive, negli anni ’90, la transizione verso il sistema capitalistico.
Vi ho raccontato la trama del romanzo in questo modo perchè volevo trasmettervi la sensazione che ho avuto costantemente mentre lo leggevo, ossia di essere a tavola con queste persone, di vivere con loro nella “zona”, di respirare gli stessi fumi nocivi delle ciminiere e provare il medesimo desiderio di fuga da quella realtà ma nello stesso tempo di desiderare che tutto rimanesse invariato perchè, in fondo, la zona “era il lievito in cui fermentavano le emozioni, il conservante e il pigmento che preservava il passato”.